Deathmatch Becomes Her: Il più grande intergender match di sempre

Bentornati sulle pagine del “Deathmatch Becomes Her”, quest’oggi pronto per regalarvi una chicca. Quindi prendete una birra dal frigo, giratevene una verde, mettete un po’ di musica (io consiglio “Tomb Of The Mutilated” dei Cannibal Corpse e capirete il perché tra poche righe) e cominciamo.

IWA Mid South

Eh? Lo so, sembra una fantasmagorica supercazzola del Conte Mascetti in un qualsiasi capitolo di “Amici miei”, solo che qua non ci si porge l’indice, si alza direttamente il medio. Già, perché suddetta federazione era retta dal più grande parassita mai apparso sul pianeta Terra quando si parla di professional wrestling indipendente e non: Ian Rotten.

Un’altra supercazzola, direte voi. E invece no. Se siete infoiati quanto me con la vecchia ECW – anche se sarebbe più giusto dire l’unica – ve lo ricorderete per quel sempiterno capolavoro del Taipei Death Match combattuto ad Hardcore Heaven 1995 contro il “fratello” Axl, Dio l’abbia in gloria. Poi, chissà per quale motivo, nel 1997 fonda questa maledetta federazione e passa alla storia per essere il primo stronzo a proporre la formula “Hot Dog + Handshake” rimandando spesso a casa li worker senza un dollaro in tasca. 

Tuttavia, come e forse più d’ogni altra cosa, la IWA Mid South rappresenta i due opposti più estremi della dualità umana: lo sfruttamento e al tempo stesso l’opportunità, ben lungi dal modello marcio del sogno americano in quanto Rotten – come ha spesso mostrato sui social – è tutto l’opposto d’un becero repubblicano. Quanto si intende con la parola “opportunità” si riferisce alla possibilità di combattere incontri bellissimi – pur se davanti a un pubblico misero – facendosi notare alla grande. Non ve lo aspettereste, ma accanto ai pionieri del deathmatch wrestling americano, lì dentro si sono esibiti tutti i nomi più prestigiosi delle indipendenti degli anni zero: da Bryan Danielson a Claudio Castagnoli, da Nigel McGuinness a Tyler Black (oggi Seth Rollins). Persino molte donne che poi hanno fatto successo nelle major ci hanno mosso dei passi importanti o fatto delle apparizioni di rilievo, senza contare che l’avversaria che Mickie Knuckles dovette battere per aggiudicarsi la prima edizione del Queen Of The Death Matches fu nientemeno che la leggendaria Mayumi Ozaki, per altro attiva ancora oggi.

Ma so di starvi confondendo; il titolo dell’articolo è “Il più grande Intergender Match di sempre” e non me lo sono scordato. Beh, è qui che entra in gioco la summentovata Knuckles, in quanto l’omonima del villain di Sonic si cimentò, un anno dopo la vittoria del torneo femminile, nella sua controparte maschile: il famigerato King Of The Death Matches. Se tale scelta sia stata presa per premiarla o semplicemente per avere una donna nel King così come c’era stato un uomo nel Queen (ciao Sexxxy Eddy, ti voglio bene) mi sfugge, l’unica cosa certa è che Mickie avrebbe avuto pane per i suoi denti.

Diamo inizio al massacro

Il 22 giugno del 2007 comincia questa gara di sopravvivenza e la Knuckles compie il primo upset: riesce a sconfiggere il Bloodbath Behemoth, Tank, aggiudicandosi un posto nel secondo round. Cade dalla padella alla brace, perché di fronte a lei si staglia l’Ultraviolent Terminator: Brain Damage. Se già il suo soprannome non vi avesse spaventato abbastanza, vi basti pensare che avrebbe pulito il pavimento con Jon Moxley di lì a un paio d’anni e se ancora credete dal film “The Wrestler” che Necro Butcher tiri le stecche più forti beh, vi sbagliate. Non ho mai visto nessuno, in quasi vent’anni di passione per la disciplina, che tirasse dei pugni con la stessa forza di Brain Damage e sono serio.

Siamo al 23, il giorno fatidico: la seconda parte del King Of The Death Matches e Mickie Knuckles affronta proprio il Robert Patrick ultraviolento in un Fans Bring The Weapons Match. Già questo dovrebbe farvi capire quanto poco frega ai fan del gender: “sei sul ring per il nostro intrattenimento, o picchi o muori, noi gli strumenti te li abbiamo forniti”. Ora badate bene: quando parlavo della presenza in federazione di alcuni tra i nomi più importanti delle indipendenti non scherzavo, ma non vi burlo neanche quando dico che la prima (LA PRIMA) immagine che vedrete non appena farete partire il match è Brain Damage che si dirige verso il ring con davanti un dildo bicefal(l)o agitato da un fan a caso. Si capisce insomma di non essere capitati nella più elegante delle arene e proprio in merito a ciò, vi assicuro che la venue è una delle robe più squallide mai viste: sedie messe un po’ a caso intorno al ring, teli utili giusto a coprire il tetto delle baracche usate probabilmente per contenere tutti i vetri che voleranno durante il match così da toglierli più facilmente e un centinaio e mezzo di allupati di violenza che si sgomitano dall’alto del loro “michelin-belly” per vedere la giusta quantità di plasma versato all’interno dello squared circle.

Dopo di lui entra Mickie Knuckles e il pubblico mostra, nonostante il rispetto comune per Brain Damage, di aver carpito molto bene il contenuto dello storytelling applaudendola lungo tutto il suo ingresso. Il suo ruolo da underdog ultra-tifato, però, si rivela presto essere un tabù montato fin troppo bene per far alzare ulteriormente l’hype.

Damage osserva la Knuckles e ridendo la invita, se vuole, ad abbandonare il ring. Non sono costretti a farlo ed ha ragione, perché nessuno ha cercato di trascinare Mickie lì dentro: è stata lei a voler dimostrare di avere più palle dei suoi colleghi e l’inizio della contesa le dà subito ragione.

Damage finisce sotto, ne prende un sacco e una sporta, le sue urla riecheggiano nell’arena ogni volta che viene colpito con puntine, vetri e filo spinato, usato poi successivamente anche per fare un bel lavoro di bricolage con la sua fronte. Il Terminator gronda sangue già dopo un minuto dall’inizio della contesa.

Una cosa che ci ha insegnato il film con Arnold Schwarzenegger, però, è che un organismo cibernetico non va dato per morto troppo presto e il comeback di Damage si concretizza col suo devastante quanto improvviso striking. A questo punto, abbiamo quello che all’apparenza potrebbe essere un richiamo all’archetipo della casalinga sottomessa, ma che personalmente ho trovato un bel parallelo per togliere a due oggetti normalmente usati nelle faccende di casa la loro funzione reale. Voglio dire, spero che nessuno di voi abbia mai impastato la schiena di qualcuno con un mattarello dopo averci incollato sopra delle puntine, oppure che abbiate provato a grattugiare solo il formaggio e non la faccia di una persona.

A questo punto, le cose si fanno pesanti. Lasciate che vi ponga una domanda: quante volte avete visto una ripresa molto ravvicinata di un worker che “lavorava” la fronte del proprio avversario appoggiato alle corde con un qualche oggetto acuminato? Tante, immagino. Benissimo, secondo quesito direttamente correlato al primo: quanto vi sono girate al pensiero che lo spot era sì venuto bene ma appariva poco realistico? Ecco, vi assicuro che con questo incontro il problema non ve lo porrete mai più, specialmente se siete deboli di stomaco.

Non c’è niente di finto in tutto questo, niente di impostato. Non era abitudine molto diffusa eseguire blade job semplicemente perché non ce n’era bisogno, avevi già tutto lì a disposizione. Mickie Knuckles non usa la lametta per tagliarsi la fronte, è Brian Damage a contribuire al suo sanguinamento usando il vetro e fidatevi quanto vi dico che ogni singolo, fottuto secondo fa male solo a guardarlo. Mickie, però, resiste a questo ed anche al filo spinato premuto con veemenza sul suo braccio, indietreggiando in lacrime verso l’angolo.

“Sei pazzo!” dice a Brian Damage. Il Terminator la guarda un po’ preoccupato e un po’ offeso: “Di che cazzo stai parlando, stronza? Sei tu che hai voluto farlo, io non volevo”. E a questo punto, come si suol dire, chi va piano va sano e va lontano. Mickie sfrutta la compassione dell’avversario e prova a schienarlo con uno School Boy che però le frutta solo un conto di due. È la goccia che fa traboccare il vaso: Damage non è solo stato quasi battuto, ma le sue stereotipie di genere e i pregiudizi dell’uomo bianco etero e maledettamente mid sono state messe a nudo. Un urlo feroce esce dalla sua gola, una mitraglia di pugni si abbatte sulla rivale. E anche qui non sto parlando di cartelle workate, oh no, sono esattamente quello che “Il mulinatore degli sgabelli” definirebbe “tumbulate”. 

C’è qualcosa di profondamente affascinante in tutto questo: se infatti la prima parte dell’incontro è un film splatter per quanto riesce a esser cruda, questa seconda metà di match risulta se possibile ancora più violenta proprio perché le barriere cadono. Damage non ha più davanti una donna, ma un ostacolo per vincere il torneo, punto. 

Certo è anche vero che gli scogli rimangono fermi anche davanti al mare e nonostante si prenda qualcosa come cinque o sei pugni in faccia a tutta velocità, Mickie Knuckles reagisce prima con dei Forearm e poi con delle Headbutt che vengono gentilmente ricambiate dall’Ultraviolent Terminator, il quale con sorpresa esce sconfitto da questo alterco e si becca pure uno Shining Wizard che frutta un altro conto di due alla first lady della IWA Mid South. 

Questa sarà l’ultima, vera offensiva di Mickie Knuckles ed è anche per questo che la contesa è perfetta. Se infatti è lontano da ogni mia possibile ideologia il fatto che una donna non possa competere ad armi pari con un uomo, è altrettanto vero che esistono l’anatomia in medicina e il concetto di status nel professional wrestling ed è obiettivo che a parità di forza una ragazza non molto alta e non muscolarmente gargantuesca – per quanto dura come l’acciaio – non potrà mai competere contro un bestione di un metro e novanta con la dinamite nelle mani e una sete di violenza così avida, specialmente se non ha mai combattuto in un torneo popolato perlopiù da uomini e in particolare contro il più pericoloso deathmatch wrestler in città.

Il match diventa così una questione non di come, ma di quando tutto finirà. Mickie finisce vittima di un altro comeback del rivale, questa volta fatale, ma prima di rimanere giù deve prendersi una Powerbomb, un primo Package Piledriver all’apparenza stiffissimo (per quanto la testa della Knuckles venga protetta piuttosto bene dal rivale) e un secondo direttamente sui tubi al neon. Il conto di tre è inevitabile, la vittoria di Brain Damage è avvenuta in meno di dieci minuti, ma prima di rialzarsi ci mette quella che sembra un’eternità. La faccia è la proverbiale crimson mask, ha il fiatone e dolori in tutto il corpo. Mickie Knuckles lo ha condotto lungo i gironi più terribili dell’inferno prima di uscirne sconfitta. 

L’ackowledgment di Brain Damage, prima dell’inevitabile abbraccio, è di quelli che si possono trovare solo nelle federazioni indipendenti più vietate ai minori. Ma quel “bitch” non è offensivo, oh no, è il più grande complimento che un combattente di quella caratura può farti. Come se il tuo status di amazzone fosse ufficialmente certificato e tu avessi dimostrato che gli obblighi per ogni gender sono esclusivamente imposizioni del maledetto patriarcato.

Per questo, nei suoi dieci minuti scarsi e forse pure meno, Brain Damage vs Mickie Knuckles è il più grande Intergender Match di sempre: semplicemente perché non lo è.

Ci siamo ritrovati spesso a guardare incontri tra un uomo e una donna all’interno del professional wrestling nei quali le barriere di genere venivano totalmente buttate giù, basti vedere due dei migliori esempi circa recenti in David Starr vs Mercedes Martinez e Joey Janela vs Kris Statlander nelle primissime stagioni di Uncharted Territory, ma nessun match lo ha urlato al mondo più di questo.

Non c’è niente di veramente tecnico, non c’è nulla che rimandi alle abilità tecniche e atletiche dei due, ma in fondo voglio dire… avete davvero aperto questo articolo per leggere di Johnny Saint vs Mick McManus? Suvvia…

Brain Damage contro Mickie Knuckles al Day 2 del King Of The Death Matches 2007 è un crescendo che esplode totalmente sul finale, con un’intensità e una macabra magnificenza raggiunte probabilmente solo dai pochissimi secondi di silenzio che separano “Allegro ma non troppo” e “Molto vivace” nella Nona Sinfonia. Un’onda d’urto paragonabile a quello di una bomba atomica, pura poesia ultraviolenta per i fan di questo genere di professional wrestling e per chiunque apprezzi e soprattutto comprenda l’importanza delle donne nel Sacro Sport. Poi oh, se non vi va bene, ci sono sempre pagine social da cui prendere ispirazione, sia mai che confondete i concetti di “complimento” e “attenzione non richiesta”. Ci sentiamo alla prossima, amici vicini e lontani.

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Donne Tra Le Corde non detiene nessun diritto su i marchi, immagini e loghi riferiti alle federazioni citate in questo articolo. Non detiene nessun diritto su i marchi, immagini e loghi riferiti alle lottatrici citate in questo articolo e da i credits a alle federazioni per le immagini in questo articolo. L’articolo è stato scritto e curato da Francesco Pozzi, scrittore di Donne Tra Le Corde. Editing e revisione di Rachele Gagliardi.

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