Ben ritrovati cari lettori del blog. Per questo terzo articolo della rubrica vorrei accompagnarvi in un piccolo e rapido viaggio nella storia del Joshi, parlandovi della sua nascita, del suo sviluppo e per finire dell’accoglienza che questa disciplina ha avuto nel nostro Paese.
ATTENZIONE!!! Contiene un’immagine sensibile che si riferisce ai Death Match, se siete sensibili fate attenzione.
La nascita e il declino del wrestling femminile in Giappone
Prima di tutto dobbiamo premettere che il wrestling si sviluppa in Giappone nel periodo del Dopoguerra, dove lo sport si ritaglia un’importante ruolo per contribuire alla rinascita del Paese dopo le tragiche conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. La popolarità del wrestling in Giappone inizia a crescere all’inizio degli anni ‘50, quando la società comincia a guardare con interesse sempre maggiore alla cultura occidentale ed in particolar modo a quella degli Stati Uniti, assorbendone molti aspetti culturali tra i quali anche il wrestling. A cavallo tra il 1948 ed 1953, il Puroresu (l’adattamento linguistico giapponese per indicare il ProWrestling) ha ormai raggiunto la sua massima diffusione e da una sua costola nasce quello che oggi chiamiamo Joshi (che in giapponese vuol dire donna) e che è diventato il termine più utilizzato per riferirsi al wrestling femminile giapponese. In quello stesso periodo iniziano a nascere piccole compagnie teatrali che mettono in scena spettacoli comici prendendo spunto dal Puroresu con la sostanziale differenza che le protagoniste di questi spettacoli sono le donne. La formula adottata funziona alla grande ed il Joshi acquista popolarità in tutto il Paese, anche grazie all’arrivo in Giappone di alcune wrestler americane già affermate che aiutano ad accrescerne la popolarità. Basti pensare all’arrivo in Giappone della wrestler americana Mildred Burke che fu accolta da un bagno di folla. Tuttavia, se questa formula aveva inizialmente dato ottimi risultati, la popolarità inizia a ridursi progressivamente, tanto che il Joshi passa dall’essere un fenomeno capace di riempire interi palazzetti a fenomeno decadente, ospitato per lo più in locali a luci rosse e nightclub o in piccoli edifici dove si ritrovano persone dalla discutibile moralità, attratte soprattutto dall’estetica delle protagoniste.
La rinascita del wrestling femminile in Giappone
Per fortuna, un gruppo di pioniere appassionate alla disciplina fa sì che quello che sembra essere il tramonto del wrestling femminile in Giappone sia piuttosto una nuova alba. Infatti, alla fine degli anni ‘60 i fratelli Matsunaga, che già avevano avuto contatti con il wrestling femminile, aiutano economicamente un gruppo di lottatrici dando vita a quella che viene da molti considerata la più importante federazione di Joshi nella storia del Giappone: la All Japan Women’s Pro Wrestling (AJW). Già a metà degli anni ‘70, la AJW raggiunge un’elevata popolarità in Giappone e viene regolarmente trasmessa in tv. La popolarità raggiunge livelli impensabili anche grazie alle sue protagoniste, quali tra tutte Mach Fumiake che nel giro di due anni diviene così popolare da lasciare il Joshi per dedicarsi alla carriera di cantante ed attrice.
Mach Fumiake rappresenta il prototipo perfetto della wrestler giapponese, un perfetto equilibrio tra atleta ed icona pop. Proprio sull’esempio della Fumiake si baserà la ricetta perfetta per formare le nuove stelle del Joshi. Vengono infatti reclutate giovani aspiranti cantanti, attrici ed atlete di altri sport per essere allenate e formate dalle atlete più esperte del dojo della AJW, basandosi sul classico concetto giapponese del senpai (un mentore più esperto) volto a formare il kohai (il giovane allievo). A questa ricetta quasi perfetta si aggiunge un fondamentale ingrediente: le storie da raccontare. In fondo noi appassionati di wrestling lo sappiamo, sono le storie a tenere in piedi un match di wrestling. Ecco quindi che il rapporto tra Joshi e wrestling americano si intensifica, tanto che le varie federazioni giapponesi di Joshi iniziano ad invitare le wrestler americane nei loro eventi per far interpretare loro il ruolo delle cattivone straniere che vanno contro le beniamine di casa. Si tratta di una narrazione piuttosto semplice, ma molto efficace, anche a causa del conflitto mondiale di qualche decennio prima. Inoltre, è proprio in questo periodo che nasce la figura delle gaijin invaders, ovvero di atlete provenienti da altre nazioni che vanno a lottare nelle federazioni giapponesi. La figura delle gaijin è tutt’oggi presente nelle principali federazioni di Joshi, basti pensare agli stint in Stardom delle varie Kay Lee Ray, Piper Niven, Toni Storm, Dakota Kai o Bea Priestley oggi tutte sotto contratto con la WWE.
Un cambio di rotta per il Joshi
Alla fine degli anni ‘80, il Joshi ha raggiunto un altissimo livello di popolarità ed alcune faide storiche tengono incollati i telespettatori agli schermi. Le atlete di casa diventano vere e proprie eroine, capaci di ispirare tante giovani ragazze a voler intraprendere la carriera di wrestler. Tuttavia, all’inizio degli anni ‘90 si assiste ad un drastico calo dei fan casual e aumentano a dismisura i fan più accaniti ed appassionati al lato tecnico della disciplina. Questo comporta un inevitabile cambio di registro: bisogna formare le atlete soprattutto per quanto riguarda il lato tecnico, lasciando più in secondo piano i personaggi. Ecco quindi che si assiste al boom del Joshi per quanto riguarda il lato del lottato. Gli incontri di Joshi iniziano ad offrire una qualità di lottato mai vista prima, spesso andando ad eguagliare o in certi casi addirittura a superare gli incontri maschili.
Chiunque abbia mai visto un match di wrestling giapponese saprà che il Puroresu è caratterizzato da uno stile più stiff che ha fatto poi coniare agli esperti il termine di strong style. Ebbene sappiate che le ragazze in quel periodo decisero di andare ancora oltre, dando vita a match davvero molto stiff rispetto a quanto si era visto fino a quel momento nel panorama Joshi. Molte atlete arrivano addirittura ad inventare nuove mosse che in alcuni casi verranno anche adottate dai colleghi maschi. La crescita esponenziale del Joshi raggiunge però il suo culmine quando anche le donne decidono di cimentarsi nei match estremi, tipologia di match svolta fino a quel momento soltanto da atleti uomini. Ecco quindi che figure storiche del Joshi come Megumi Kudo, Combat Toyoda e Mayumi Ozaki danno vita ad incontri hardcore, in alcuni casi addirittura si cimentano nei Death Match prendendo spunto dai leggendari match di Atsushi Onita, vera e propria leggenda del Puroresu, ricordato come uno specialista di quella tipologia di incontri.
La fine del periodo d’oro del Joshi
Purtroppo però anche il periodo d’oro del Joshi è destinato a terminare. Infatti, i match estremi non soddisfano i gusti di tutti e si assiste ad un graduale calo di fan che nel giro di qualche anno portano il Joshi a tornare ad essere un prodotto di nicchia per pochi appassionati, lasciando solo dei piacevoli ricordi dei tempi in cui le ragazze riempivano le arene e lottavano nel leggendario ed iconico Tokyo Dome. La AJW tenta di reinventarsi in tutti i modi per provare a restare a galla, ma nemmeno la collaborazione con la WWF riesce a riportare la federazione ai fasti di un tempo. Infatti, il pubblico americano non sembra interessato alla tipologia di lottato che offre il Joshi con tutte queste ragazze che fanno match veloci ed intensi, esibendosi in manovre folli. Gli Usa non sono ancora pronti alla rivoluzione femminile del wrestling che arriverà solo molti anni dopo, quando verrà finalmente accantonata la figura delle Divas per dar sempre più spazio a vere wrestler. Intanto ulteriori conseguenze incidono sul calo della popolarità del Joshi in Giappone. In primo luogo, le atlete non guadagnano quanto i colleghi uomini pur lottando allo stesso livello. Inoltre, molte di loro tendono a lasciare alla soglia dei 30 anni con la volontà di mettere su famiglia. Queste sono le due ulteriori mazzate definitive che costringono la AJW a chiudere i battenti nei primi anni 2000, quando ormai il Joshi non è più quel prodotto mainstream che è stato fino a qualche anno fa e sparisce drasticamente dalle televisioni del Giappone.
Come una fenice, risorge dalle sue ceneri
Il Joshi però risorge ancora. Nel 2010 nasce infatti quella che oggi è considerata la più popolare tra le federazioni di Joshi: la Wolrd Wonder Ring of Stardom, conosciuta anche più semplicemente come Stardom. Fondata da un eccentrico imprenditore giapponese appassionato di Lucha Libre di nome Rossy Ogawa e dalle ex lottatrici Nanae Takahashi (ex wrestler della AJW) e Fuka Kakimoto, la Stardom si pone come obiettivo principale quello di far tornare il Joshi ai fasti di un tempo. La ricetta della Stardom è fin da subito vincente. Nel reclutamento e nella formazione delle lottatrici si ritorna a creare quel giusto connubio tra idol e wrestler, mirando comunque a formare atlete molto capaci nel lottato per attirare anche una fetta di fan più appassionata al lato tecnico. Non è quindi un caso che il dojo della Stardom ha sfornato atlete come Io Shirai, Kairi Hojo e Mayu Iwatani considerate dagli esperti del settore come tre delle migliori wrestler in attività. In poco tempo la Stardom ottiene il monopolio della scena Joshi in Giappone, facendo riempire progressivamente le casse della federazione e di conseguenza le tasche di Rossy Ogawa. Oggi la Stardom produce molti eventi e continua a formare ottime atlete, tenendo sempre vivo l’interesse del Joshi in Giappone e nel resto del mondo, sebbene il suo prodotto resti comunque piuttosto di nicchia.
L’arrivo del Joshi in Italia
Nel periodo d’oro del boom in Giappone, la diffusione del Joshi superò i confini territoriali raggiungendo gli Stati Uniti e l’Europa, fino ad approdare anche in Italia. Infatti, nella prima metà degli anni ‘80 i leggendari match della AJW finirono sui teleschermi del Belpaese grazie ad Euro TV, uno dei primi circuiti televisivi italiani che raggruppava ben diciotto emittenti regionali dotate di libertà sulla creazione dei propri palinsesti, ma che per sei ore giornaliere trasmettevano all’unisono la stessa programmazione.
Tra i vari programmi trasmessi ebbe un inaspettato successo proprio il wrestling, diffusosi nel nostro Paese con il termine catch. Il programma era intitolato “Il fantastico mondo del catch”, conosciuto anche come “Catch the catch”, all’interno del quale venivano trasmessi gli incontri di Puroresu, tra i quali anche quelli della AJW. Il commento fu affidato a Tony Fusaro, attore e doppiatore italiano che viene ricordato come uno dei pionieri della diffusione del wrestling in Italia. Il commento di Fusaro non era propriamente tecnico, ma venne largamente apprezzato per il suo stile pacato e professionale che aiutava il pubblico italiano ad approcciarsi seriamente a qualcosa di mai visto prima nella nostra penisola. Fusaro ha coniato alcuni termini come “il laccio californiano”, “lo spaccacervello” ed “il volo d’angelo” volti ad indicare le manovre degli atleti, sebbene fossero inventati di sana pianta dallo stesso Fusaro e divenuti iconici nella cultura di massa italiana. Così come divennero molto popolari i soprannomi che Fusaro diede ad alcune lottatrici, tra i quali quello di “farfallina bianca” dedicato a Mimi Hagiwara che era solita indossare un costume bianco durante i suoi match. Al fianco di Fusaro si alternavano anche due voci femminili, quella di sua moglie Christina Piras e della comica Marina Massironi, nota soprattutto per aver recitato in alcuni film del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Alcune volte ad affiancare Fusaro ci fu Paolo Angeli, maestro di judo che arricchiva il commento con dettagli più tecnici e legati alla parte lottata. La diffusione del catch in Italia ha preceduto quindi l’arrivo sulle nostre televisioni del wrestling americano, destinato a prendere poi piede nel nostro Paese con gli storici commenti di Dan Patterson negli anni successivi.
Con questa breve parentesi sulla diffusione del Joshi in Italia, si conclude il terzo articolo della mia rubrica dedicata al Joshi. Ci rileggiamo a dicembre con un nuovo articolo di Joshi Sakè. Un saluto dalla vostra Komorebi.
Articolo precedente: Joshi Sakè: Syuri, una vera guerriera
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