Oggi vorrei parlarvi di un argomento che avevo già affrontato qualche mese fa sul profilo Instagram di Donne Tra Le Corde e che ho avuto modo di approfondire solo di recente tramite un documentario Netflix (dato che praticamente nessuno ne ha parlato nel corso degli anni, neanche tutti quei canali di True Crime che seguo sempre con piacere essendo un’appassionata) e sto parlando del noto caso della criminale Juana Barraza detta anche “La Dama Del Silencio”, nickname che è anche il titolo del documentario che andrò a recensire.
Vi anticipo già che questa recensione sarà SPOILER, quindi vi lascerò anche qualche dettaglio del documentario, senza però raccontarvi proprio tutto nei particolari perché è anche giusto che voi possiate godervelo come ho fatto io. Per conoscere invece solo a grandi linee il contenuto potete andare a vedere il reel dedicato.
Struttura del documentario
La narrazione di questo documentario non parte direttamente dall’identikit della protagonista, non ci fa sapere chi ha commesso quei crimini per poi raccontarci nel dettaglio cos’è accaduto prima di fare un approfondimento su Juana Barraza, ma parte concentrandosi molto su ciò che è accaduto nel corso di quei tot anni in cui sono stati compiuti i crimini, fornendoci anche qualche informazione sulle vittime. Quindi, nel corso della narrazione, prima impariamo a conoscere i crimini, poi come si sono sviluppate le indagini e solo dopo arriviamo a conoscere la protagonista della storia.
Parte 1: Si raccolgono i pezzi del puzzle
Il documentario non si divide nettamente in capitoli o parti, però io ho deciso di farlo per semplificarmi il lavoro di recensione e per farvi capire meglio cosa accade.
Nella prima parte quindi, che dura circa un’ora, ci vengono raccontati i crimini che hanno fatto più scalpore commessi al danno di diverse donne anziane indifese, tanto che a questo assassino misterioso viene dato il nome di “Ammazzavecchiette“, o in lingua originale “Mataviejitas” dato che i crimini si svolgono a Città del Messico. Secondo le prove raccolte dalla polizia che ha iniziato ad indagare su queste morti brutali ed improvvise, sarebbe un uomo a commettere tali omicidi spacciandosi con tanto di travestimento per un’infermiera o forse per un’assistente di un servizio locale che si occupa proprio di aiutare le persone anziane dal momento che non vengono riscontrati segni di effrazione nelle case. Due persone sospette vengono quindi prese in custodia dalla polizia e accusate su pubblica piazza senza che ci fossero veramente delle prove concrete, e stiamo parlando di: Araceli Vazquez Garcia, che corrisponde alla descrizione fisica nonostante sia una donna, con Araceli che viene trovata in possesso di un orologio di una delle vittime che ha un segno distintivo che la figlia conosce bene, e Jorge Mario Tablas Silva, sospettato di due omicidi, con l’aggiunta di altri otto omicidi dopo, e di essersi travestito da infermiera per stabilire una connessione con le vittime, visto che anche lui ha qualche oggetto che apparteneva a queste ultime. Ma, come se non bastasse, ad un certo punto la polizia inizia anche a sospettare di alcune donne transgender, dato che appunto a detta loro non può essere una donna biologica, poiché le vittime muoiono per soffocamento, venendo strozzate con oggetti come cavi del telefono (dovete ricordare che stiamo parlando degli anni ’90) oppure con le classiche cinture intorno agli accappatoi, e secondo i detective una donna non può avere abbastanza forza per sopraffarne un’altra e strozzarla con così tanta brutalità.
Il cambiamento arriva quando un certo Tigre viene assunto per aiutare nel caso, arrivando alla conclusione, dopo aver esaminato la mappa della città con segnati gli omicidi, che questi avvengono sempre vicino alle principali vie facilmente raggiungibili tramite mezzi di trasporto, rendendo così altrettanto semplice allontanarsi il prima possibile dal luogo del delitto. A quel punto si iniziano a mandare varie pattuglie in giro per la città in modo da riuscire ad individuare qualsiasi sospettato anche in base all’identikit che hanno messo insieme.
Questa prima parte l’ho trovata davvero ben fatta, perché alla fine hanno reso giustizia ad alcune vittime raccontando la loro storia e ci hanno portato all’interno delle indagini attraverso le voci dei protagonisti, che si sono alternati in diverse interviste, in modo tale da farci capire cosa avessero concretamente fatto per cercare di catturare un criminale che era ormai odiato in tutta Città del Messico, in quanto lì c’è una cultura molto positiva intorno alla figura delle donne anziane da tutti chiamate affettuosamente “Abuela” ovvero “Nonna”. Ora, ovviamente io posso commentare solo quello che ho visto o sentito, ma mi sembra che questa volta le autorità si siano davvero impegnate nel cercare di trovare il colpevole, nonostante forse qualche errore commesso lungo la strada.
Parte 2: La cattura dell’Ammazzavecchiette
Nella seconda parte invece, arriviamo a quello che è il passaggio tra crimini e indagini e la cattura della colpevole, che no, non è un uomo travestito da donna come sospettato, ma una donna e basta. Purtroppo l’avvenimento decisivo per la cattura accade quando l’assassina decide di uccidere un’anziana signora il cui migliore amico era un giovane vicino di casa che la sorprende poco dopo il delitto, avvertendo proprio una delle pattuglie della polizia messe a controllare la strada, permettendo così a due agenti di bloccarla prima che possa fuggire con i mezzi pubblici. Gli agenti diventano chiaramente gli eroi di questo caso e, finalmente, dopo otto anni di crimini e 48 morti, Juana Barraza è tra le braccia della legge.
Insieme a lei ovviamente vengono sequestrati anche gli oggetti personali che ha con sé, tra cui dei biglietti da visita da professional wrestler e dei biglietti per il noleggio di alcuni ring con la scritta “CMLL” sopra. Arrivati all’interrogatorio con il signor Tigre, lui la osserva per capire come possa quella donna aver commesso quegli omicidi dato che il modus operandi indica un’opera di un uomo che pratica wrestling, ma vedendo la sua stazza, le sue braccia e mani, la lampadina si accende. Infatti, quando le chiede quale sport le piace, lei senza pensarci due volte risponde: “La Lucha Libre”.
In questa parte di documentario si parla ovviamente molto più di Juana, di tutte le prove che sono state raccolte contro di lei e del fatto che probabilmente ha ucciso tutte quelle donne perché la madre l’ha venduta ad un uomo poco raccomandabile per alimentare la sua dipendenza da alcolici, causando in Juana una rabbia cieca nei confronti delle donne di una certe età, rabbia che non le bastava sfogare tramite il wrestling, ma doveva fare anche attraverso gli omicidi. Ovviamente qui tiriamo un sospiro di sollievo, passatemi il termine, perché finalmente ci dicono chi ha commesso questi crimini e anche noi apprendiamo il profilo complesso di questa donna diventata una delle serial killer più spietate nella storia.
Parte 3: La Dama Del Silencio
Ovviamente in questa terza parte, dentro il racconto di quella che è Juana Barraza, arriviamo anche ad apprendere che effettivamente lei è una grande amante del professional wrestling, tanto che si è costruita un personaggio dal nome “La Dama Del Silencio”, ovvero “La Donna Silenziosa”. A raccontare di lei nel documentario ci pensano le colleghe wrestler La Chola e Migala, che in realtà la descrivono come una persona tranquilla, una buona amica con cui divertirsi e confidarsi, anche se per loro era sospetto il fatto che cambiasse spesso colore di capelli e casa.
La Dama viene descritta come un personaggio face, infatti il suo nome rappresentava questa sua personalità tranquilla all’apparenza, anche se purtroppo le cose sono peggiorate, pare, con un infortunio alla schiena: non potendo più far defluire la rabbia in questa sua passione, in questo suo sogno che ora deve abbandonare, Juana si ritrova a diventare un’assassina per sfogarsi in un altro modo. Ma attenzione, perché qui ci sono delle dichiarazioni contrastanti, dato che prima viene detto che lottava, ma poi proprio La Chola dice che nessuno l’ha mai effettivamente vista lottare, solo formare gli atleti, e a quanto pare comprare un titolo per far finta di averlo vinto, tanto che questa parte si conclude con: “La Dama Del Silencio non è mai esistita”.
Devo ammettere che mi sarebbe piaciuto molto avere un approfondimento in più su questo aspetto della sua vita, anche perché appunto ci sono state dichiarazioni contrastanti sulla sua figura all’interno della Lucha Libre, e perché comunque al suo aspetto fisico è stata data tanta importanza dato che è stato un elemento che per tanto tempo ha anche depistato i detective permettendole di commettere tantissimi ulteriori omicidi. Penso che sarebbe stato necessario includere qualcosa in più proprio perché è anche diventata una figura mediatica che ha fatto discutere in quanto teoricamente luchadora, considerato anche che al tempo non c’erano moltissime lottatrici in circolazione e si sa che quando c’è di mezzo il wrestling ogni occasione è buona per chiamare violenta una persona che lo pratica, senza guardare magari al suo background che potrebbe aver influito psicologicamente sui suoi gesti, come nel caso di Juana senza dubbio.
Parte 4: La condanna e le sue conseguenze
Nella quarta e ultima parte veniamo a sapere che, per tutto ciò che ha fatto, Juana Barraza viene condannata a 759 anni di carcere per l’omicidio di 17 donne, numero che dovrebbe essere legato ai casi certi imputabili a lei, dato che appunto prima si parlava di almeno 48 omicidi, con 12 accuse di furto con scasso. Susana Vargas Cervantes, una giornalista che ha scritto un libro su di lei dal titolo “The Little Old Lady Killer: The Sensationalized Crimes of Mexico’s First Female Serial Killer”, nel documentario afferma che questa sentenza non è tanto data in base ai crimini commessi, bensì più per un senso di giustizia legato a lei in quanto donna criminale dato che pare che in Messico, almeno a quel tempo, ci fosse la convinzione che le donne fossero inclini ad essere cattive di natura.
E sapete in tutto questo Araceli Vazquez Garcia che fine ha fatto? È ancora in carcere, nonostante si sia trovata la colpevole degli omicidi, perché la donna ha ammesso i furti, ma non le uccisioni. Nonostante questo però, non si sta facendo nulla per scarcerarla. Nel frattempo, Juana fa la cuoca in carcere, si è sposata nel 2015 divorziando poco dopo, diventando poi una celebrità all’interno del penitenziario (ma anche fuori) con zero rispetto per le povere vittime. Per fortuna, prima dei credits, vengono scritti i nomi delle vittime divisi per anni, in modo che nessuno possa dimenticarle.
E personalmente credo che quest’ultima parte sia la rappresentazione perfetta di quanto la nostra società sia invece imperfetta, tra la glorificazione dei criminali, l’oblio in cui spediamo le vittime e il fatto che ancora verso le donne ci siano dei pensieri e dei pregiudizi che le dipingono in un modo positivo o negativo senza la possibilità che esse possano dimostrare il contrario sia in un modo o nell’altro, perché tanto se il pensiero è quello i fatti mica possono cambiarlo, e invece…
A chi consiglio il documentario
Sicuramente lo consiglio a tutti, specialmente agli appassionati di True Crime. Non l’ho trovato un documentario pesante, anzi, mi è passato anche abbastanza velocemente. Non so voi ma io solitamente questi documentari li tengo di sottofondo mentre faccio altro o se li guardo concentrata è perché sono in viaggio, infatti questo l’ho visto in treno. Penso sia una visione adatta a tutti perché non ci sono immagini o scene esplicite, ma solo voci che raccontano ciò che è accaduto.
Considerazioni finali
Come vi ho già detto, sono una grande amante del crime, una passione che mi ha passato mio padre fin da piccola quando con lui guardavo Poirot, quindi apprezzo sempre molto questi documentari se fatti bene. Questo penso sia fatto molto bene, narrato bene, presenta il punto di vista di più persone che sono polizia, detective, amici o parenti delle vittime, giornalisti e così via, in modo tale da non avere una narrazione a senso unico a favore o sfavore della vittima o del carnefice. Peccato solo manchi il punto di vista di Juana, ma purtroppo non rilascia interviste.
Ho apprezzato l’ampio spazio dato ai dettagli su come si è svolta l’indagine, forse anche di più della parte dove si parlava effettivamente di Juana Barraza, che da un certo punto di vista ho trovato invece sbrigativa, soprattutto quando si è parlato del dopo la condanna. Penso comunque che sia una storia affascinante, per quanto possa essere affascinante una serie di crimini ovviamente. Voglio fare le mie personali condoglianze a tutte le persone che si sono ritrovate a dover fare i conti con la morte di una persona a loro cara, povere e innocenti donne anziane senza nessuna colpa se non quella di aver assunto l’aspetto di mostri agli occhi di una donna che fin da bambina è stata vittima della sua stessa madre.
Vi lascio qui sotto il trailer che è in spagnolo, ma il documentario lo trovate anche in italiano e/o con i sottotitoli: